Imprese italiane e sostenibilità: il 78% vede nella natura un asset strategico
Il 78% delle aziende italiane è consapevole che la tutela della natura rappresenta un fattore strategico per la resilienza del proprio modello di business. Tuttavia, solo il 42% monitora con continuità gli impatti delle proprie attività su biodiversità ed ecosistemi. È quanto emerge dal nuovo studio intitolato Le aziende italiane e la tutela del capitale naturale per contrastare il cambiamento climatico, promosso dal Global Compact Network Italia con la collaborazione di The European House-Ambrosetti e dell’Università Ca’ Foscari Venezia, con il supporto di Edison Spa. Il report sarà presentato alla Cop30 di Belém, presso il Padiglione Italia.
La ricerca ha analizzato 169 grandi aziende soggette agli obblighi di rendicontazione di sostenibilità dal 2024 e ha coinvolto 115 realtà aderenti al Network. Il quadro che ne emerge mostra una crescente attenzione ai temi ambientali, ma una scarsa integrazione della biodiversità nelle strategie aziendali. Se circa la metà delle imprese dichiara di avere strumenti per gestire emissioni, acqua e rifiuti, l’adozione di politiche mirate alla biodiversità resta minoritaria.
Biodiversità ancora marginale nelle strategie aziendali
Solo l’8% delle aziende analizzate ha già adottato un Piano di Transizione per la Biodiversità. Sebbene il 57% dichiari di considerare il capitale naturale nelle valutazioni ambientali e il 70% riconosca i benefici di un approccio integrato tra clima e natura, solo il 31% ha definito una policy aziendale specifica.
A spingere le imprese ad agire sono soprattutto i rischi ambientali e reputazionali, citati dal 67% degli intervistati. Le principali difficoltà riscontrate riguardano il coinvolgimento della filiera, i costi elevati, la mancanza di strumenti efficaci e di competenze interne adeguate. Le aziende chiedono incentivi economici, linee guida operative e sistemi di misurazione più precisi.
L’orizzonte futuro, però, appare più incoraggiante: l’81% delle imprese prevede di intensificare il proprio impegno nei prossimi anni.
Un contesto globale ad alta vulnerabilità ambientale
Il report colloca le criticità del sistema Italia in un quadro internazionale complesso, in cui la dipendenza dagli ecosistemi è enorme. Più della metà del Pil mondiale, pari a circa 55 mila miliardi di dollari, è direttamente legata ai servizi naturali. In Europa, il 72% delle imprese dipende almeno da un servizio ecosistemico, mentre in Italia quasi l’80% dei prestiti bancari è esposto a settori vulnerabili ai rischi ambientali.
Nonostante la ricchezza biologica del Paese, con oltre un terzo delle specie animali europee e quasi metà della flora continentale, l’Italia mostra segnali preoccupanti: 58 ecosistemi terrestri su 85 risultano a rischio, pari al 46 per cento del territorio nazionale.
Finanziamenti insufficienti per proteggere la natura
Secondo Filippo Bettini, presidente di UN Global Compact Network Italia, per raggiungere gli obiettivi del Global Biodiversity Framework entro il 2030 sarà necessario ampliare in modo significativo i flussi finanziari dedicati al capitale naturale. A fronte di un fabbisogno stimato in 1.150 miliardi di dollari l’anno, oggi ne vengono mobilitati solo 208. Le risorse pubbliche e i 35 miliardi provenienti dal settore privato non sono sufficienti; serve una collaborazione strutturata tra pubblico e privato per catalizzare investimenti, innovazione e competenze.
Capitale naturale come asset strategico per la competitività
Per Daniela Bernacchi, Executive Director di UN Global Compact Network Italia, ignorare il capitale naturale significa mettere a rischio la stabilità economica, il benessere sociale e la competitività delle imprese. Di fronte alla perdita di biodiversità e al degrado degli ecosistemi, è indispensabile un approccio coordinato che coinvolga istituzioni, imprese e cittadini.
Le aziende devono dotarsi di strumenti per comprendere e gestire le proprie dipendenze ambientali, definire obiettivi misurabili, investire in formazione e governance e creare partnership lungo la filiera. Solo così sarà possibile costruire modelli di sviluppo rigenerativi e realmente sostenibili.
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