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Calenda: riaprire la centrale a carbone. Bufera social sul selfie al tramonto

centrale carbone Civitavecchia

Calenda: riaprire la centrale a carbone. Bufera social sul selfie al tramonto

«Al tramonto la centrale a carbone di Civitavecchia è ancora più bella. Prima o poi la riapriremo».
Bastano poche parole e un selfie, pubblicati da Carlo Calenda prima di imbarcarsi per Barcellona, per scatenare un’ondata di indignazione. Centinaia di commenti negativi, prese di posizione dure e il riemergere di un tema che a Civitavecchia non è mai stato archiviato: il carbone e i suoi effetti devastanti sulla salute.

In un territorio che per decenni ha respirato polveri sottili e sostanze cancerogene, l’idea di “riaprire” Torrevaldaliga Nord non suona come provocazione, ma come minaccia. E a renderla più pesante è il fatto che lo stesso Calenda, da ministro, fu tra i protagonisti della strategia per uscire dal carbone.

Phase out: quando Calenda era il ministro del “no” al carbone


Nel 2017, da ministro dello Sviluppo Economico, Calenda fu uno dei principali artefici della Strategia Energetica Nazionale (SEN) che fissava la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025. Una data accolta con favore dalle associazioni ambientaliste come passo storico per la transizione energetica e la riduzione degli impatti sanitari.

Oggi, nelle vesti di leader di Azione, la posizione è ribaltata: Calenda ha firmato con Forza Italia un ordine del giorno per rinviare il phase out al 2038 — 13 anni in più di carbone. La motivazione? Garantire energia a basso costo alle imprese, in attesa dell’avvio del nucleare.

Un’inversione netta, che non è solo questione di strategia energetica, ma di coerenza politica e responsabilità verso territori come Civitavecchia, già gravati da un’eredità ambientale pesante.

Civitavecchia: il carbone non è solo energia, ma una questione di salute

Il sindaco Marco Piendibene lo ha ribadito con fermezza: «Il ciclo del carbone è ormai concluso e non vi sarà alcun ritorno al passato».
Dietro questa posizione non c’è ideologia, ma la memoria viva di un sacrificio collettivo.

Per anni, la centrale di Torrevaldaliga Nord ha emesso polveri sottili (PM10 e PM2.5), ossidi di zolfo, ossidi di azoto, metalli pesanti e diossine — sostanze che l’OMS e la IARC classificano come cancerogene. Nel Lazio si registrano oltre 34.000 nuovi casi di tumore ogni anno, con il polmone tra gli organi più colpiti: una patologia strettamente legata all’inquinamento atmosferico.

Prolungare il carbone significherebbe prolungare anche l’esposizione a questi rischi, aggravando un’ingiustizia ambientale: quella di una comunità che ha già pagato un prezzo altissimo in termini di salute.

Il nodo politico e morale

La vicenda Calenda non è solo una disputa tra partiti. È la fotografia di come le scelte politiche possano cambiare direzione ignorando le conseguenze sulla vita reale delle persone.
A Civitavecchia, il carbone non è nostalgia industriale: è un capitolo che si voleva chiuso per sempre. Riaprirlo significa mettere in discussione non solo gli impegni climatici, ma anche il diritto fondamentale alla salute.

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