Eni contro Greenpeace e ReCommon: al via il processo per diffamazione
Oggi prende il via l’iter giudiziario relativo alla causa civile per diffamazione intentata da Eni contro Greenpeace Italia, Greenpeace Paesi Bassi e ReCommon. Il colosso energetico italiano accusa le tre organizzazioni di aver orchestrato una campagna denigratoria, ma le ONG respingono le accuse e definiscono il procedimento una SLAPP, ovvero una causa strategica contro la partecipazione pubblica.
Che cos’è una SLAPP
Le SLAPP sono azioni legali utilizzate da soggetti potenti per mettere a tacere critiche pubbliche, ostacolando la libertà di espressione e logorando le risorse di chi le subisce. In questo caso, Greenpeace e ReCommon sostengono che la causa intentata da Eni abbia l’obiettivo di intimidire chi solleva preoccupazioni legate alla responsabilità dell’azienda nella crisi climatica.
Nel mese di aprile, la coalizione europea anti-SLAPP CASE ha classificato ufficialmente l’azione civile promossa da Eni come una SLAPP, rafforzando la posizione delle organizzazioni ambientaliste.
Il contesto della causa e i procedimenti paralleli
La causa per diffamazione segue di alcuni mesi un altro importante contenzioso. Nel maggio 2023, Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno infatti citato in giudizio Eni con l’accusa di gravi responsabilità nella crisi climatica globale. Questo procedimento, noto come “Giusta Causa”, riprenderà a gennaio 2026 dopo la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno confermato la giurisdizione del giudice ordinario italiano.
Greenpeace e ReCommon ritengono che la nuova causa avviata da Eni sia una mossa per deviare l’attenzione pubblica e istituzionale dalla causa principale.
Le reazioni delle ONG: difendere il diritto di critica
Secondo le tre organizzazioni, il tentativo di Eni è chiaro: usare il proprio peso economico per scoraggiare ogni forma di opposizione pubblica e civile. Le ONG sottolineano come queste strategie legali siano già state adottate in passato da grandi compagnie del settore fossile per ostacolare il lavoro di attivisti, giornalisti e associazioni ambientaliste.
In una nota congiunta, Greenpeace e ReCommon ribadiscono la loro volontà di non farsi intimidire: “La libertà di espressione e il diritto a un ambiente salubre sono pilastri fondamentali della nostra democrazia. Continueremo a portare avanti le nostre battaglie con trasparenza e determinazione”.
Una vicenda che accende il dibattito sul ruolo delle multinazionali
Il processo che si apre oggi potrebbe avere ripercussioni ben oltre i soggetti coinvolti. La vicenda rilancia il dibattito sull’uso delle cause giudiziarie da parte delle grandi aziende contro critici, attivisti e società civile. In un momento storico in cui la trasparenza e la responsabilità ambientale sono al centro del dibattito globale, l’esito di questo processo sarà osservato con attenzione anche a livello internazionale.
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