Climate Index 2026: Italia scende al 46° posto. Danimarca, Regno Unito e Marocco guidano la classifica
Il Climate Change Performance Index 2026 (CCPI), presentato alla COP30 in Brasile, certifica un nuovo arretramento per l’Italia sul fronte climatico. Il nostro Paese scivola infatti al 46° posto, perdendo tre posizioni rispetto al 2025 e ben 17 rispetto al 2022, quando figurava tra le nazioni più performanti al mondo. A dirlo è il rapporto annuale realizzato da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute, con la collaborazione di Legambiente per il capitolo italiano.

I Paesi più virtuosi: Danimarca, Regno Unito e Marocco
Come accade ormai da anni, le prime tre posizioni rimangono vuote: nessuno Stato raggiunge ancora una performance sufficiente a rispettare pienamente gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
A guidare la classifica troviamo la Danimarca (4° posto), trainata da una forte crescita delle rinnovabili, in particolare dell’eolico offshore. Seguono:
- Regno Unito (5°), sostenuto dal phase-out del carbone e da politiche più ambiziose
- Marocco (6°), in crescita grazie a bassissime emissioni pro-capite e investimenti nel trasporto pubblico
All’estremo opposto si collocano Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita, tra i peggiori in assoluto.
Italia: politiche insufficienti e rinnovabili ferme
Secondo Legambiente, il crollo dell’Italia dipende soprattutto da una politica climatica giudicata inadeguata, che nel CCPI si colloca addirittura al 58° posto tra 63 Paesi analizzati.
I punti critici evidenziati dal rapporto:
- L’aggiornamento del PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) prevede un taglio delle emissioni al 2030 di appena 44,3% (o 49,5% con assorbimenti), contro il 55% richiesto dall’UE.
- Le rinnovabili crescono troppo lentamente: nel 2023 la loro quota nel consumo energetico è stata del 19,6%, lontanissima dal 39,4% previsto dal PNIEC.
- Il phase-out del carbone è rimandato al 2038, molto oltre la media europea.
- Persistono investimenti in false soluzioni come CCS e nucleare, che rischiano di rallentare la transizione.
Legambiente parla di “visione politica miope” e chiede una svolta:
“L’Italia può diventare un hub delle rinnovabili — afferma il presidente Stefano Ciafani — ma serve un modello fondato su fonti pulite, reti, accumuli ed efficienza”.
Trend delle emissioni italiane: troppo lente
Tra il 1990 e il 2023 le emissioni italiane sono calate del 26,4%.
Secondo ISPRA, con le politiche attuali si arriverebbe al 2030 a una riduzione complessiva del 42%, ancora lontana dagli obiettivi europei.
Il ritmo di crescita delle rinnovabili dovrebbe essere quattro volte più veloce per raggiungere i target previsti.
I dati globali: migliorano solo pochi Paesi
Il CCPI analizza 63 nazioni + UE, responsabili di oltre il 90% delle emissioni globali.
Tra i Paesi del G20, solo il Regno Unito rientra nella parte alta della classifica.
In peggioramento invece Sudafrica, Indonesia e Italia, mentre il fondo della lista è occupato da:
- Turchia
- Cina
- Australia
- Giappone
- Argentina
- Canada
- Corea del Sud
- Russia
- Stati Uniti
- Arabia Saudita
La Cina sale di una posizione al 54° posto, grazie al boom delle rinnovabili, nonostante l’elevato uso di carbone.
Unione Europea: giù di tre posizioni
L’UE nel suo complesso scende al 20° posto, penalizzata soprattutto dal calo della Germania (22°), che sta programmando nuovi impianti a gas. Bene invece la Spagna, che sale al 14° posto.
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