Overshoot Day 2025, WWF: invertire la rotta è ancora possibile
Giovedì 24 luglio 2025 segna una data simbolica ma drammaticamente concreta: è l’Earth Overshoot Day, ovvero il giorno in cui l’umanità ha ufficialmente consumato tutte le risorse naturali che la Terra è in grado di rigenerare nel corso dell’anno. Da questa data in avanti, viviamo “a credito ecologico”, consumando più di quanto il nostro Pianeta possa offrirci senza danneggiarsi. È un vero e proprio campanello d’allarme che, anno dopo anno, suona sempre prima nel calendario.
Una corsa contro il tempo e contro noi stessi
Nel 1970 l’Overshoot Day cadeva a fine dicembre. Da allora si è spostato indietro di quasi sei mesi, a conferma di come i nostri stili di vita siano diventati sempre più insostenibili. Il fatto che nel 2025 questa giornata arrivi il 24 luglio significa che, in soli sette mesi, l’umanità ha consumato ciò che la Terra può fornire in dodici. Questo squilibrio si traduce in un debito ecologico enorme, che accumuliamo da decenni: un debito che oggi ammonta a circa 22 anni di produttività del Pianeta.
La questione non è più teorica. Le foreste che abbiamo distrutto, le specie che abbiamo fatto estinguere, i mari che abbiamo impoverito e i suoli che abbiamo eroso sono testimonianze tangibili di un modello di sviluppo che consuma senza rigenerare. E ora, a complicare ulteriormente la situazione, si aggiunge l’accelerazione della crisi climatica, che sta riducendo anche la capacità stessa della Terra di riprendersi.
Le radici della crisi ambientale
A causare questo sovrasfruttamento non è un singolo fattore, ma un intero sistema: il nostro modello economico e produttivo, fondato sull’idea della crescita continua e del consumo illimitato. Viviamo come se avessimo a disposizione quasi due Pianeti – 1,8 per l’esattezza – ma la realtà è che ne abbiamo solo uno, e ne stiamo compromettendo gli equilibri più vitali. Questo squilibrio si riflette in tutte le principali emergenze ambientali della nostra epoca: dalla perdita di biodiversità alla deforestazione, dal cambiamento climatico alla scarsità idrica, dall’inquinamento atmosferico all’accumulo di rifiuti.
La nostra impronta ecologica, insomma, non è un’astrazione: è il risultato quotidiano delle nostre scelte. Ciò che mangiamo, come ci muoviamo, l’energia che consumiamo, i prodotti che acquistiamo e il modo in cui li smaltiamo: tutto contribuisce a determinare il peso che esercitiamo sugli ecosistemi. E tutto può essere cambiato.
Cambiare è ancora possibile
Secondo il WWF, invertire questa tendenza non solo è urgente, ma è anche tecnicamente possibile. Per riportare l’Overshoot Day al 31 dicembre, ovvero per vivere entro i limiti ecologici del Pianeta, dovremmo ridurre la nostra impronta del 60% rispetto ai livelli attuali. Questo significa agire su molteplici fronti: produrre energia in modo pulito e rinnovabile, ridurre gli sprechi, consumare in modo più consapevole, favorire un’economia circolare e sostenere politiche ambientali globali più ambiziose.
Ogni azione conta. Ridurre le emissioni di CO₂, ad esempio, avrebbe un impatto immediato e significativo, così come cambiare le nostre abitudini alimentari, diminuendo il consumo di carne e privilegiando cibi locali, stagionali e biologici. Anche la difesa delle foreste e il ripristino degli ecosistemi possono contribuire a rallentare l’impoverimento delle risorse e a guadagnare tempo prezioso per il nostro futuro.
Verso un nuovo modello di sviluppo
La verità, però, è che non basta fare aggiustamenti qua e là. È necessaria una trasformazione profonda del nostro sistema economico e culturale. Non possiamo più misurare il benessere e il progresso esclusivamente con il PIL, che tiene conto solo della crescita economica ma ignora la distruzione ambientale, la salute degli ecosistemi e il benessere delle persone.
Servono nuovi indicatori che mettano al centro la qualità della vita, la sostenibilità, la giustizia sociale e la tutela della Natura. Come ha ricordato Eva Alessi del WWF Italia, dobbiamo smettere di rincorrere un aumento quantitativo dei consumi e cominciare a costruire un progresso qualitativo, fatto di conoscenza, relazioni umane, diritti e armonia con l’ambiente.
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