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Frana Cortina, le Alpi sono davvero così fragili? Il punto con i geologi della SGI

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Frana Cortina, le Alpi sono davvero così fragili? Il punto con i geologi della SGI

Un recente evento franoso che ha interessato l’alta parete della Croda Marcora, tra San Vito di Cadore e Cortina d’Ampezzo, il 14 giugno 2025, ha riacceso i riflettori sulla crescente fragilità delle Alpi. Il crollo, verificatosi a circa 3000 metri di quota, ha innescato un imponente flusso di detriti e una nube di polveri che ha raggiunto la SS51 e il torrente Boite, mettendo in luce la necessità di un’azione tempestiva e tecnicamente fondata per la gestione delle emergenze.



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Rodolfo Carosi, Presidente della Società Geologica Italiana e docente del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, ha dichiarato: “Le Alpi sono sempre più fragili, sottoposte ad erosione e crolli spesso accentuati dalla fusione e dal ritiro dei ghiacciai e dalla progressiva perdita del permafrost”. Ha citato come esempio il recente crollo del ghiacciaio di Birch in Svizzera, ma ha sottolineato che i crolli nelle Dolomiti, patrimonio UNESCO, hanno origini diverse, legate sia a pareti instabili sia all’immobilizzazione di detriti da intense piogge.

La Conoscenza Preventiva come Fondamento

Carosi ha evidenziato come, in scenari emergenziali complessi, la conoscenza preventiva del territorio sia il primo e più solido fondamento per l’azione. È indispensabile disporre di:

  • Cartografia tematica dettagliata: carte geologiche, geomorfologiche, delle frane e delle vulnerabilità territoriali.
  • Modelli Digitali del Terreno (DTM) aggiornati, utili per simulazioni di propagazione.
  • Banche dati integrate che raccolgano informazioni storiche su eventi franosi, vulnerabilità infrastrutturali e condizioni idrogeologiche.

La mancanza di un rilievo topografico adeguato, emersa nel sopralluogo del 15 giugno, complica la stima precisa del volume e del comportamento delle masse in frana, rendendo ancora più urgente investire in strumenti conoscitivi consolidati “ex ante”.

Il Ruolo Diagnostico del Geologo: Un “Medico del Territorio”

Il sopralluogo sulla frana della Croda Marcora è stato effettuato in elicottero, data la verticalità e vastità della parete (quasi 2000 metri di altezza). Questa modalità ha permesso di identificare le aree di distacco primario, individuare la massa potenzialmente instabile caratterizzata da fratture subverticali e di trazione, ed evidenziare segnali di deformazione attiva che indicano la possibilità di ulteriori collassi.

Nicolò Doglioni, geologo bellunese, ha affermato: “Questa fase richiede un approccio rigorosamente clinico da parte del geologo: la montagna va osservata e ‘ascoltata’ come un organismo in sofferenza, con l’obiettivo di individuare i sintomi precoci di aggravamento.” Per Doglioni, in un territorio montano dinamico come quello dolomitico, il geologo è un “elemento insostituibile nella mediazione fra l’uomo e l’ambiente.”

Gestione del Rischio e Strategie Operative

Il cuore della gestione del rischio consiste nel coniugare l’instabilità con la vulnerabilità degli elementi esposti. Nel caso della frana Marcora, l’analisi si è concentrata su:

  • La SS51, infrastruttura cruciale per la mobilità locale e turistica.
  • La nube di polveri, che ha attraversato la strada riducendo drasticamente la visibilità.
  • Il rischio idrogeologico secondario, in particolare la possibilità di debris flow lungo i canaloni ostruiti dai detriti in caso di piogge intense.

Le due principali criticità a breve termine sono la riduzione della visibilità per nubi di polvere in caso di nuovi crolli e la rimobilitazione dei materiali depositati nei canaloni sotto forma di colate detritiche.

A fronte di tale quadro, le opzioni operative immediate includono:

  • Chiusura cautelativa della SS51 in caso di previsione meteo sfavorevole o nuovi segnali di instabilità.
  • Attivazione di sistemi di monitoraggio rapidi (camere time-lapse, inclinometri, radar interferometrici, sensori vibrazionali).
  • Interventi in parete, se tecnicamente possibili, per la messa in sicurezza (demolizione controllata, disgaggio, consolidamento).
  • Predisposizione di interventi di mitigazione a valle (canalizzazioni temporanee, soglie di contenimento, vasche di raccolta provvisoria).

Nel caso specifico, è stato attivato il COC comunale con monitoraggio a vista delle due possibili criticità, una scelta considerata ottimale per il rapporto costi/benefici nel breve e brevissimo termine. Successivamente, sarà necessaria la progettazione di azioni di mitigazione del rischio a lungo termine.

Il geologo, in questi scenari emergenziali, assume un ruolo diagnostico per comprendere il comportamento della massa instabile, decisionale nel supportare le autorità con proposte tecnicamente fondate, ed etico nel soppesare rischio e precauzione, infrastruttura e sicurezza, responsabilità e impatto sociale.

In conclusione, la fragilità del territorio italiano porta troppo spesso alla gestione dell’emergenza. È fondamentale comprendere che la gestione dell’emergenza non si può improvvisare e richiede: conoscenze geologiche pregresse, un approccio diagnostico di tipo clinico, strumenti di decisione rapida ma informata e una visione sistemica del rischio. La frana della parete Marcora dimostra, ancora una volta, quanto siano fondamentali la prevenzione, la lettura integrata del territorio e il riconoscimento del valore culturale della geologia con le sue applicazioni. In un contesto sempre più fragile delle Alpi, la conoscenza dettagliata del territorio attraverso una cartografia moderna e aggiornata, unita alla prevenzione e al monitoraggio continuo dei fenomeni franosi, e al massimo sforzo per diminuire le immissioni di CO2 di origine antropica nell’atmosfera, sono essenziali per affrontare in modo razionale le sfide dei prossimi decenni. Questo richiede una forte presa di coscienza e investimenti adeguati e mirati per mettere in sicurezza persone e infrastrutture prima e durante le emergenze.

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