Perché Greta Thunberg ora sfida anche la Norvegia. C’entra il Re del Petrolio
La Norvegia è da sempre vista come un’icona di sostenibilità, un faro nelle politiche ambientali e un leader nel settore delle auto elettriche. Eppure, è proprio qui, nella terra dei fiordi e delle foreste, che Greta Thunberg ha scelto di lanciare la sua ultima, e forse più significativa, battaglia. Non si tratta di una lotta contro un paese inquinatore, ma di uno scontro diretto con un’economia che si nasconde dietro un’immagine “verde” e una facciata di paese socialmente avanzato.
Insieme a 200 attivisti di Extinction Rebellion, la giovane attivista svedese ha bloccato la raffineria di Mongstad, di proprietà del colosso petrolifero statale Equinor. La loro azione, simbolica ma dirompente, ha messo in luce la profonda contraddizione della politica norvegese, un paese che predica la sostenibilità ma vive di idrocarburi.
L’accusa e la dura risposta di Oslo
Dalla prima linea della protesta, Greta Thunberg non ha usato mezzi termini. “Siamo qui perché è chiarissimo che non c’è futuro nel petrolio. I combustibili fossili portano morte e distruzione”, ha dichiarato. L’attivista svedese ha puntato il dito direttamente contro la Norvegia, accusando un Paese che si vanta delle sue politiche ambientali di avere “le mani sporche di sangue” per il suo ruolo di grande produttore di petrolio e gas.
Il governo norvegese ha risposto che l’industria petrolifera è fondamentale per l’economia e garantisce la sicurezza energetica dell’Europa, ma l’attivismo ambientalista continua a smascherare questa narrazione. Nonostante le dichiarazioni, il colosso Equinor ha confermato l’intenzione di mantenere la produzione di petrolio stabile a 1,2 milioni di barili al giorno fino al 2035, e di produrre 40 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Questi numeri, più di ogni parola, rivelano il vero peso dell’industria fossile nell’economia norvegese.
La lezione di Mongstad: braccio di ferro globale
La protesta di Mongstad mette in evidenza la profonda contraddizione della politica norvegese. Se da un lato il Paese investe in veicoli elettrici e in soluzioni rinnovabili, dall’altro continua a fare affidamento su un modello economico basato sui combustibili fossili. Equinor ha l’obiettivo di mantenere stabile la sua produzione di petrolio a 1,2 milioni di barili al giorno fino al 2035, e di produrre 40 miliardi di metri cubi di gas all’anno entro la stessa data.
Questi obiettivi a lungo termine, che si scontrano con le richieste degli attivisti e le raccomandazioni della comunità scientifica, mostrano quanto sia complessa la transizione per un Paese che ha costruito gran parte della sua ricchezza sull’oro nero. La protesta, pur non fermando l’industria, serve a mantenere alta l’attenzione su un tema cruciale: quale futuro attende la Norvegia e gli altri Paesi produttori di combustibili fossili?
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