Il morbo della “mucca pazza”: dalla crisi in UK alla psicosi in Italia. Cos’è e perché fa ancora paura
Negli anni Duemila, una parola ha seminato il panico in Europa e nel mondo: “mucca pazza“. Un’espressione semplice che nascondeva un allarme scientifico complesso e una crisi alimentare senza precedenti. L’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), il suo nome scientifico, ha segnato un’intera epoca, cambiando per sempre il modo in cui percepiamo la sicurezza della carne che mangiamo. Ma qual è la storia di questa malattia, come è nata e, soprattutto, come ha scatenato una vera e propria psicosi in Italia?
Cos’è il morbo della “mucca pazza”?
L’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) è una malattia neurodegenerativa fatale che colpisce i bovini. A causarla non è un virus o un batterio, ma un agente molto più insidioso: il prione. I prioni sono proteine anomale che, una volta entrate nell’organismo, inducono altre proteine normali a trasformarsi, creando una reazione a catena che distrugge il tessuto cerebrale, rendendolo simile a una spugna. La malattia ha un lungo periodo di incubazione, che può durare anni, rendendo difficile l’identificazione precoce degli animali infetti.
Il grande allarme è scattato quando si è scoperto il legame con una malattia umana: la variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (vCJD), che causa sintomi simili nei pazienti e porta anch’essa alla morte. La via di trasmissione era l’ingestione di carne bovina contaminata da prioni.
Dalla Gran Bretagna all’Europa: l’inizio di una crisi globale
I primi casi di BSE furono identificati nel Regno Unito a metà degli anni ’80. La causa venne individuata nel mangime animale, che conteneva farine di carne e ossa prodotte da carcasse di animali, compresi i resti di pecore affette da una malattia simile chiamata “scrapie”. Inizialmente sottovalutata, la malattia si diffuse rapidamente nel bestiame britannico, portando al primo divieto di esportazione di carne dal Regno Unito nel 1996. Questo segnò l’inizio di una crisi alimentare che si estese a tutta l’Europa, mettendo in ginocchio l’industria della carne.
L’impatto in Italia: dai primi casi alla psicosi collettiva
In Italia, l’allarme esplose a cavallo del nuovo millennio. Nonostante i primi casi accertati nel Paese fossero ancora rari, la notizia dei decessi nel Regno Unito e il potenziale legame con la vCJD umana scatenarono una psicosi collettiva. I telegiornali e i quotidiani dedicavano ampio spazio alla vicenda, le macellerie si svuotarono e i consumatori, terrorizzati, smisero di mangiare carne bovina.
Il governo italiano rispose con misure drastiche: il divieto di importare carne dal Regno Unito fu rafforzato e vennero imposti controlli rigorosi sulla filiera alimentare, inclusa la distruzione dei capi di bestiame a rischio. La paura era palpabile: le famiglie evitavano i ristoranti e si guardava con sospetto anche alle preparazioni a base di carne di manzo nelle mense scolastiche. La crisi colpì duramente gli allevatori e l’intero settore della carne, costretti a fare i conti con un calo vertiginoso della domanda e con i costi delle nuove e stringenti normative.
La gestione della crisi e lo stato attuale
Per affrontare la crisi, l’Unione Europea introdusse normative severe per la sicurezza alimentare. Furono imposti il divieto di utilizzare farine animali nel mangime per il bestiame, controlli obbligatori sui capi macellati e la distruzione dei materiali a rischio (come cervello e midollo spinale). Questi severi protocolli, uniti alla ricerca scientifica, hanno permesso di contenere la diffusione della malattia.
Oggi, grazie a queste misure, la BSE è considerata una patologia estremamente rara. La fiducia dei consumatori è stata gradualmente riconquistata e la carne bovina è tornata a essere un alimento sicuro. La storia del morbo della “mucca pazza” rimane un monito sulla fragilità delle filiere alimentari e sull’importanza di una rigorosa legislazione e di una costante sorveglianza per tutelare la salute pubblica anche se l’incubo di tornare a temere questa malattia terribile è sempre in agguato e per chi ha vissuto quel periodo solo sentire il suo nome fa ancora paura.
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