Inchiesta Greenpeace: l’UE continua a vendere pesticidi vietati ai Paesi poveri
Una recente inchiesta condotta da Unearthed, l’unità investigativa di Greenpeace, e dall’organizzazione Public Eye, ha rivelato un preoccupante incremento nell’esportazione di pesticidi vietati all’interno dell’Unione Europea. Solo nel 2024, sono state notificate esportazioni contenenti 75 sostanze chimiche proibite nei campi coltivati europei, quasi il doppio rispetto al 2018, quando se ne contavano 41.
Questo dato indica una crescita significativa in soli sei anni, sollevando interrogativi etici e politici sul ruolo dell’Europa nel commercio globale di sostanze pericolose per la salute umana e l’ambiente.
Crescono i volumi e i rischi per l’ambiente e la salute
Non solo è aumentato il numero di sostanze chimiche pericolose, ma anche i volumi complessivi esportati dall’UE. Nel 2024, l’Unione ha notificato l’intenzione di esportare circa 122 mila tonnellate di prodotti contenenti pesticidi vietati, più del doppio rispetto ai livelli del 2018.
Molti di questi pesticidi sono associati a gravi conseguenze per la salute, come danni cerebrali nei bambini, infertilità, interferenze endocrine e gravi rischi per la biodiversità. Tra le sostanze esportate figurano anche insetticidi letali per le api e pericolosi per molte specie selvatiche.
I Paesi destinatari: tra disuguaglianze e impatti ambientali
Nel corso del 2024, i pesticidi vietati all’interno dell’Unione Europea sono stati esportati in 93 Paesi, di cui 71 sono considerati a medio o basso reddito. Questi ultimi hanno ricevuto il 58% del totale dei volumi esportati.
Il Brasile si conferma il principale importatore tra i Paesi a reddito medio, seguito da Ucraina, Marocco, Malesia, Cina, Argentina, Messico, Filippine, Vietnam e Sudafrica. Tra i Paesi destinatari ci sono anche 25 nazioni africane. Gli Stati Uniti risultano invece il maggior importatore tra i Paesi ad alto reddito e il primo in termini assoluti.
I Paesi europei e le aziende coinvolte nell’export
Tredici Stati membri dell’Unione Europea risultano coinvolti nell’esportazione di pesticidi vietati. La Germania è al primo posto per volumi esportati, seguita da Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Bulgaria, Italia, Francia, Danimarca, Ungheria e Romania.
Oltre 40 aziende europee sono implicate in questo commercio. Tra le principali figurano BASF, Teleos Ag Solutions, Agria, Corteva, Syngenta, Bayer e AlzChem. L’Italia ha notificato esportazioni per quasi 7 mila tonnellate di pesticidi vietati, in particolare contenenti 11 sostanze proibite. Tra queste, l’erbicida trifluralin, vietato da quasi 20 anni nell’UE per la sua tossicità nei confronti di fauna acquatica e il sospetto potenziale cancerogeno.
Le denunce di Greenpeace
Secondo Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, l’esportazione crescente di pesticidi vietati rappresenta una grave contraddizione interna all’Unione Europea. Le stesse sostanze riconosciute come pericolose vengono esportate soprattutto verso Paesi con normative ambientali meno stringenti, esponendo lavoratori agricoli, comunità locali e interi ecosistemi a gravi rischi.
Greenpeace sottolinea anche il rischio che prodotti agricoli trattati con pesticidi vietati possano rientrare nei mercati europei, evidenziando un paradosso nella regolamentazione attuale.
Dopo una precedente inchiesta pubblicata nel 2018, la Commissione Europea aveva promesso di porre fine a questa pratica, impegnandosi a modificare la legislazione. Tuttavia, a distanza di anni, nessun provvedimento concreto è stato adottato.
Una pratica da fermare
L’aumento delle esportazioni di pesticidi vietati solleva gravi questioni etiche, sanitarie e ambientali. L’Unione Europea, pur vietando certe sostanze sul proprio territorio, continua a produrle e venderle a Paesi con minori strumenti di controllo e tutela.
Greenpeace chiede un’azione immediata da parte della Commissione Europea, affinché venga introdotto un divieto effettivo alla produzione e all’esportazione di pesticidi non autorizzati per l’uso all’interno dell’UE. Solo così l’Europa potrà dimostrare coerenza tra le sue politiche ambientali e le sue pratiche commerciali.
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