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Le profondità marine sono una discarica pronta ad esplodere

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Le profondità marine sono una discarica pronta ad esplodere

Troppo spesso non avere un’idea concreta di cosa si nasconda nei fondali marini e oceanici è stata un’arma a doppio taglio. L’oscurità e la profondità di questo ambiente ancora largamente inesplorato, hanno portato l’uomo nel corso della sua storia ad abusare, senza riflettere, della disponibilità di spazio. Come se le profondità fossero un buco nero di cui, una volta nascoste le malefatte, non fosse più necessario preoccuparsi. Stiamo parlando dei rifiuti che da oltre 100 anni vengono costantemente riversati nelle profondità del mare e lì “nascosti”, creando una bomba ecologica destinata prima o poi ad esplodere.

I rifiuti nucleari nelle profondità

In un longform di James Bradley su Guardian, si ripercorrono alcuni degli sversamenti più pericolosi nel corso della storia. Specialmente il post Seconda guerra mondiale è stato teatro dello scarico selvaggio di armi chimiche, nucleari, agenti nervini e gas mostarda. Secondo uno studio del 2019, ci sono oltre 18 mila oggetti radioattivi sparsi sul fondo dell’Oceano Artico, scaricati in molti dall’Unione Sovietica. Sui fondali sono fermi anche relitti pericolosi come il K-27, il K-141 Kursk e il K-159, sottomarini ad alimentazione nucleare affondati con i loro reattori. Quella che è stata definita una “Chernobyl al rallentatore sul fondo del mare“.

L’invasione della plastica

Le scorie nucleari sono solo la punta dell’iceberg. L’Agenzia giapponese per le scienze e le tecnologie marine-terrestri ha raccolto un database molto puntuale sui rifiuti presenti nelle acque profonde. Pneumatici, reti da pesca, manichini, palloni e biberon sono tra i più diffusi a molte migliaia di metri di profondità, in una specie di “barriera corallina” di rifiuti che in alcune zone arriva anche a superare i 300 kmq. Persino nella Fossa delle Marianne, l’esploratore Victor Vescovo nel 2019 trovò buste di plastica e lattine.



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Le microplastiche, poi, si accumulano progressivamente negli oceani in maniera defilata, perché si creano con la rottura di oggetti più grandi già in acqua o vengono liberate nei nostri rubinetti usando oggetti comuni come le creme viso, oppure lavando tessuti come il pile, che perde enormi quantità di filamenti minuscoli ad ogni lavaggio. Degli oltre 11 milioni di tonnellate di plastica che ogni anno finiscono in mare, il 99,8% arriva nelle acque più profonde.

Anche negli strati superiori dell’acqua oceanica, le microplastiche sono diventate parte della catena alimentare degli organismi abitanti. Il Guardian fa notare come ci siano alcune zone dell’Oceano Pacifico in cui ci sono più filamenti di microplastica che plancton, pur se sono delle stesse dimensioni.

L’allarma sostanze chimiche

Anche le sostanze chimiche si accumulano allo stesso modo. I rifiuti più preoccupanti sono i policlorobifenili (PCB), utilizzati per raffreddare negli anni Venti e incorporati in vernici, adesivi, rivestimenti elettrici nei Quaranta. Nel 1950 lo scienziato Soren Jensen scoprì tracce in PCB in tutti gli animali marini, negli uccelli e persino nei corpi di sua moglie e sua figlia. Ad oggi i PCB sono vietati, ma i rifiuti arrivati in mare non sono scomparsi, sono solo affondati più in profondità. Da soli, questi agenti chimici causano cancro, danni al fegato e persino deformità in molte specie animali. Hanno già provveduto ad aumentare la mortalità di balene e delfini e si trovano ormai in maniera eclatante nel latte. Inoltre, i PCB si decompongono molto lentamente se tenuti lontano dalla luce, che ovviamente scarseggia nelle profondità del mare.

L’oceano profondo è l’ambiente più grande della Terra, costituisce il 95% della biosfera oceanica e, a seconda di come la si misura, quasi il 90% dello spazio vivibile del pianeta. Salvarlo vuol dire salvare anche le creature “della luce e dell’aria”, che troppo poco ancora lo conoscono.

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