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Clima e biodiversità minacciano le importazioni alimentari UE

piantagione di cacao

Clima e biodiversità minacciano le importazioni alimentari UE

Grano, riso, mais. E ancora cacao, caffè e soia. Dietro questi prodotti che ogni giorno arrivano sulle nostre tavole si nasconde un quadro di crescente fragilità. Un nuovo studio pubblicato da Foresight Transitions, per conto della Fondazione europea per il clima, solleva un campanello d’allarme: la sicurezza alimentare dell’Unione Europea è profondamente esposta ai rischi climatici e alla perdita di biodiversità nei Paesi da cui dipendono le sue principali importazioni.

Il rapporto non si limita a valutare il rischio climatico: prende in considerazione anche la capacità di risposta dei paesi esportatori e lo stato di salute della loro biodiversità. I dati emersi raccontano una realtà che non può più essere ignorata, soprattutto alla luce degli eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e delle tensioni sulle filiere globali.

Paesi climaticamente vulnerabili

Secondo lo studio, oltre la metà delle importazioni di alimenti chiave dell’UE proviene da paesi con alta vulnerabilità climatica e bassa capacità di adattamento. Questo è particolarmente evidente nel caso del riso: più di un terzo delle forniture europee proviene da aree già colpite dagli effetti del cambiamento climatico, per un valore che supera 1,5 miliardi di euro all’anno.

Situazioni simili si registrano anche per mais, grano e cacao, la cui produzione è minacciata sia dai cambiamenti del clima sia dal drastico calo della biodiversità. I Paesi fornitori sono sempre più soggetti a siccità, alluvioni, temperature estreme e perdita degli ecosistemi naturali. Una combinazione che riduce le rese agricole e mette in crisi l’intera catena di approvvigionamento.

Il declino della biodiversità peggiora le coltivazioni

A rendere il quadro ancora più preoccupante è il collegamento diretto tra la perdita di biodiversità e la vulnerabilità agricola. Ecosistemi impoveriti, terreni degradati e coltivazioni in monocoltura rendono le produzioni più esposte a malattie, parassiti e shock climatici.

Camilla Hyslop, ricercatrice e coautrice dello studio, sottolinea come la riduzione della vegetazione autoctona e la scarsa diversificazione delle colture stiano erodendo la resilienza delle aziende agricole. Un sistema agricolo meno ricco biologicamente è anche meno capace di assorbire gli impatti esterni, con conseguenze dirette sulla stabilità della produzione e, quindi, sui prezzi per i consumatori.

L’esempio del cacao: industria UE da 50 miliardi appesa a un filo

Tra i settori più esposti c’è quello del cioccolato, un’industria che in Europa vale circa 50 miliardi di dollari l’anno. Il 97% del cacao utilizzato proviene da paesi con basso punteggio nella preparazione climatica e il 77% da aree con biodiversità ormai compromessa.

Costa d’Avorio, Ghana, Camerun e Nigeria sono i principali fornitori, ma anche tra i più colpiti da eventi climatici estremi e perdita di habitat naturali. Le piogge abbondanti hanno già danneggiato i raccolti, con un aumento del valore delle importazioni del 41% in un solo anno. Questo non è solo un rischio commerciale: è un segnale evidente di quanto la crisi ambientale sia già una realtà tangibile nelle nostre economie.

Il reshoring non è la soluzione: serve cooperazione internazionale

Secondo gli autori del report, l’idea di “reshoring” – riportare la produzione alimentare all’interno dei confini UE – non è praticabile. Non solo per motivi climatici e agricoli, ma anche per le conseguenze che avrebbe sull’uso del suolo, già sotto pressione. L’Europa, infatti, non dispone delle condizioni ambientali adatte per produrre in scala molte delle materie prime attualmente importate, né potrebbe farlo senza sacrificare altri obiettivi ecologici.

La soluzione, quindi, passa per un rafforzamento delle politiche di cooperazione internazionale. Investire nella resilienza climatica dei paesi partner, migliorare le infrastrutture logistiche nei paesi esportatori, e supportare economicamente i piccoli agricoltori: sono queste, secondo il rapporto, le vere leve strategiche per proteggere la sicurezza alimentare del continente.

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