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Fast-fashion: dalla Francia legge per ridurne l’impatto ambientale

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Fast-fashion: dalla Francia legge per ridurne l’impatto ambientale

In Francia una nuova proposta di legge volta a disincentivare il fast-fashion ha visto di recente l’approvazione dell’Assemblea nazionale.

Un innovativo disegno di legge, ora in attesa dell’ok del Senato, che promette di contrastare l’enorme impatto ambientale della “moda veloce” ma che non manca di essere al centro di pesanti critiche.

Cosa prevede la proposta di legge

Il 14 marzo in Francia la camera bassa del parlamento ha approvato all’unanimità una nuova legge che mira a contrastare il mercato del fast-fashion e dell’ultra fast-fashion, messo in atto da giganti della vendita online come Shein e Temu.

Il disegno di legge prevede tre punti fondamentali:
– il divieto di pubblicità da parte delle aziende di ultra-fast fashion, prevedendo inoltre multe con un incremento annuale fino a 10 euro per articolo di abbigliamento entro il 2030

– l’obbligo per i rivenditori di fast-fashion di includere informazioni sul riutilizzo, riparazione, riciclo e impatto ambientale di un articolo vicino al prezzo del prodotto

– l’imposizione di un sovrapprezzo legato all’impronta ecologica di ogni capo. Questo, che partirà da cinque euro e aumenterà a dieci euro entro il 2030, non potrà comunque superare il 50% del prezzo di vendita al dettaglio.

I proventi derivanti dalle sanzioni saranno utilizzati per sostenere i produttori di abbigliamento sostenibile e per la gestione dei rifiuti tessili. Non solo, parte dei soldi andranno a sussidiare il bonus dedicato alle aziende che adottano pratiche sostenibili e scelgono principi di circolarità.

I numeri del fast-fashion

L’industria tessile contribuisce attualmente al 10% delle emissioni di gas serra e rappresenta un grave spreco di risorse. Basti pensare che ogni anno questa consuma 1,5 miliardi di acqua, oltre che contribuire in modo significativo all’inquinamento delle falde acquifere e alla diffusione delle microplastiche.

Come sottolinea anche la nuova proposta di legge francese, a gravare sull’ambiente sono in particolare le aziende di fast-fashion come Shein, che producono migliaia di nuovi capi ogni giorno. Solo questo colosso della moda veloce introduce in media più di 7.200 nuovi modelli di abbigliamento al giorno. Non solo, questo offre ai consumatori più di 470.000 prodotti diversi, una quantità “circa 900 volte superiore a quello di un rivenditore tradizionale francese”.

“Il fast fashion ha trasformato i vestiti in articoli usa e getta, generando un grave problema nell’uso smodato di materie prime e nella produzione di rifiuti”, denuncia Greenpeace.

Secondo i dati che riporta la ONG, ogni anno, solo nell’Unione Europea, vengono gettate via circa 5 milioni di tonnellate di vestiti e scarpe. Sono pari a circa 12 chili per persona, e l’80% di questi finisce in inceneritori, discariche o viene esportato nei paesi del sud del mondo.

Parliamo di un camion di indumenti che ogni secondo nel mondo viene bruciato o smaltito in discarica. Non solo, il 25% dei capi di abbigliamento prodotti globalmente rimane invenduto, e meno dell’1% dei vecchi abiti viene riciclato per produrre nuovi vestiti.



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Le critiche alla proposta di legge su fast-fashion in Francia

“Mi piacerebbe poter dire che queste politiche contro il fast-fashion sono motivate da un interesse per la protezione dell’ambiente e per proteggere i giovani dal marketing aggressivo, ma sono principalmente il riflesso di una posizione conservatrice, anti-Cina e protezionista“. Lo ha dichiarato a Vogue Elizabeth Cline, professore di politiche sulla moda, consumismo e sostenibilità presso la Columbia University.

Secondo altri, la proposta di legge così formulata lascia spazio a molti interrogativi. A partire dalla definizione stessa di azienda fast-fashion, argomenta sulla testata di moda Greg Tulquois, esperto legale che fornisce consulenza a clienti nel settore dei beni di consumo.

Secondo Tulquois, la legge definisce tale un business che distribuisce o mette in vendita “una gran numero di capi di abbigliamento”.

Toccherà quindi al governo francese quantificare e definire con previsione i numeri che determinerà se un’azienda di moda è considerata “fast-fashion” ai sensi della legge proposta.

Sheng Lu, professore associato e a capo degli studi post-laurea nel Dipartimento di Moda e Studi sull’Abbigliamento presso l’Università del Delaware ha rilasciato una dichiarazione a Vogue. “La nuova legge – ha detto – potrebbe mettere la Francia in un mare legale controverso specialmente se il governo intende dare priorità all’industria nazionale a spese di tutte le altre”.

Per Tulquois, il divieto di pubblicità è “estremo” e suggerisce invece di vietare messaggi e contenuti che promuovono un impatto negativo sull’ambiente, come ad esempio quelli che incoraggiano gli acquisti ricorrenti.

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