Farmaci e dispositivi medici responsabili del 5% delle emissioni globali di gas serra
Il settore sanitario è un alleato della salute, ma ha anche un impatto ambientale tutt’altro che trascurabile. Dai processi produttivi all’uso quotidiano, fino allo smaltimento, farmaci e dispositivi medici contribuiscono in modo significativo alle emissioni di gas serra e all’inquinamento delle acque. Secondo le stime più recenti, la sanità globale è responsabile del 5% delle emissioni globali di gas a effetto serra.
L’impronta ecologica del sistema sanitario
La crescente consapevolezza ambientale ha portato alla nascita di un nuovo filone di ricerca che analizza l’impatto ecologico di farmaci e dispositivi medici. Ogni fase del ciclo di vita di questi prodotti — dalla produzione all’utilizzo, fino allo smaltimento — contribuisce all’inquinamento ambientale.
La produzione dei principi attivi farmaceutici, ad esempio, richiede l’impiego di solventi e processi ad alta intensità energetica, spesso associati a significative emissioni di CO₂. Anche i dispositivi medici monouso, come siringhe, mascherine e guanti, comportano costi ambientali elevati a causa della plastica e dei metalli utilizzati.
Smaltimento e rifiuti sanitari
Gli imballaggi dei farmaci, spesso realizzati in PVC e alluminio, rientrano nella categoria dei rifiuti speciali, che necessitano di trattamenti specifici e costosi per essere smaltiti correttamente. I dispositivi monouso aumentano ulteriormente la quantità di rifiuti generati quotidianamente negli ospedali e nelle strutture sanitarie.
Molti farmaci, soprattutto inalatori e anestetici, utilizzano propellenti ad alto potenziale di riscaldamento globale, come gli HFC (idrofluorocarburi), contribuendo ulteriormente al cambiamento climatico.
Residui farmaceutici nelle acque
Uno dei problemi più critici riguarda i residui di farmaci che, una volta espulsi dal corpo umano, finiscono nelle acque reflue e quindi nelle falde acquifere. Uno studio pubblicato su PNAS Nexus nel maggio 2025 stima che ogni anno circa 8.500 tonnellate di antibiotici raggiungano fiumi e corsi d’acqua, facilitando la diffusione di batteri multiresistenti.
Un precedente studio del 2022, basato su campionamenti in 258 fiumi di 104 Paesi, ha rilevato la presenza di 61 principi attivi in concentrazioni superiori ai limiti di sicurezza in oltre il 25% dei siti monitorati. Farmaci come la carbamazepina e la metformina sono tra i più frequentemente rilevati. Le zone più colpite risultano essere quelle con una scarsa gestione delle acque reflue e con intensa produzione farmaceutica, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito.
Verso una valutazione ambientale
Attualmente, la valutazione delle tecnologie sanitarie (Health Technology Assessment – HTA) tiene conto di efficacia clinica, sicurezza ed economicità. Tuttavia, secondo gli esperti, è urgente integrare anche un criterio ambientale.
“Introdurre un parametro ambientale nell’HTA orienterebbe gli investimenti pubblici verso soluzioni più sostenibili. Il ‘green’ deve diventare un parametro di salute pubblica”, afferma Di Brino, coordinatore Altems.
Anche in Europa il tema è sempre più presente nell’agenda politica. Un recente report, presentato al Pharmaceutical Committee della Commissione Europea, propone di rafforzare la valutazione del rischio ambientale nella fase di autorizzazione dei farmaci. Sebbene non rappresenti ancora una direttiva vincolante, è considerato un primo passo concreto verso una sanità più sostenibile.
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