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Inquinamento da Pfas: in Veneto 4mila morti in più

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Inquinamento da Pfas: in Veneto 4mila morti in più

Un’indagine appena pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Health mostra che, nella “zona rossa” del Veneto, l’inquinamento da Pfas ha portato a quasi 4mila morti in più in un arco temporale di 34 anni.

Nell’area più contaminata dai Pfas, situata nelle tre province del Veneto di Vicenza, Padova e Verona, lo studio evidenzia un incremento significativo della mortalità per molteplici cause, soprattutto per quanto riguarda le malattie cardiovascolari. Inoltre, i giovani risultano essere maggiormente esposti al rischio di sviluppare tumori.

A renderlo noto sono le “Mamme No Pfas”, un gruppo di genitori del Veneto che da anni “lottano per avere acqua pulita perché i fiumi e le falde del nostro territorio sono stati irrimediabilmente contaminati da sostanze tossiche chiamate PFAS”, come si legge dal loro sito.  



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La scoperta della contaminazione in Veneto

Il problema dell’inquinamento da PFAS in Veneto è stato scoperto solo nel 2013 ma “perdura da oltre 40 anni”, come denunciano ancora le Mamme No Pfas. Questo, che rappresenta uno dei più gravi casi al mondo, riguarda la contaminazione della falda acquifera utilizzata per gli acquedotti in un’area di 700 km2, interessando circa 350mila persone in 80 comuni, di cui i 30 più colpiti nelle tre province di Vicenza, Padova e Verona.

L’inquinamento da Pfas, imputato alla ditta Miteni di Trissino (VI), continua perché sebbene l’azienda sia stata chiusa per motivi finanziari, il terreno sotto di questa rimane contaminato, denunciano ancora i residenti preoccupati della zona.

La nuova ricerca sui morti in eccesso per inquinamento da Pfas in Veneto

La nuova ricerca dai dati allarmanti, è già stata presentata a dicembre 2023 come testimonianza nel processo in corso presso la Corte d’Assise di Vicenza che ha visto imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, “accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari”, come ricorda anche Il Giornale di Vicenza.

L’indagine mostra un aumento significativo della mortalità nel periodo dal 1985 al 2018. Nelle tre province analizzate in 34 anni, si è registrato un eccesso di oltre 3800 decessi rispetto a quanto atteso, corrispondente a una media di una morte in più ogni 3 giorni.

L’indagine è stata condotta da Annibale Biggeri, professore di statistica medica presso l’Università di Padova, insieme al suo team, in collaborazione con il Registro Tumori dell’Emilia-Romagna e l’Istituto Superiore di Sanità, con il contributo del gruppo “Mamme No Pfas” attraverso il programma di “Citizen Science”.

“Abbiamo trovato prove di un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari e malattie neoplastiche maligne, tra cui il cancro del rene e il cancro ai testicoli. Per la prima volta è stata dimostrata un’associazione causale tra l’esposizione ai Pfas e un rischio elevato di morte per malattie cardiovascolari”, ha concluso Biggeri nello studio.

Dallo studio, che per la prima volta mostra il legame tra esposizione ai PFAS e rischio elevato di morte per malattie cardiovascolari, emerge inoltre che la mortalità è aumentata per tutte le cause. Non solo, secondo le indagini ad essere particolarmente colpiti sono i giovani.

“Tramite l’analisi delle diverse classi d’età – viene infatti precisato – è stato evidenziato un aumento del rischio di insorgenza di malattie tumorali al diminuire dell’età: la popolazione più giovane, esposta ai Pfas già durante l’infanzia, è quella che paga il prezzo più alto”.

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