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Storica sentenza dalla Corte europea a favore delle “nonne per il clima”

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Storica sentenza dalla Corte europea a favore delle “nonne per il clima”

Una nuova, storica, sentenza in relazione alla lotta al cambiamento climatico è arrivata oggi, martedì 9 aprile, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

La CEDU si è pronunciata a favore di un gruppo di oltre duemila donne svizzere, ribattezzate le “nonne per il clima” vista l’età media over 70, che hanno accusato il governo elvetico di non proteggere adeguatamente il loro diritto alla vita e alla salute di fronte alle ondate di calore estreme causate dal riscaldamento globale.

Nel caso «Association of Senior Women for Climate Protection contro Svizzera» (n. 53600/20), la CEDU ha stabilito che il mancato raggiungimento da parte di Berna degli obiettivi di riduzione dei gas serra in passato ha violato alcuni dei loro diritti umani.

In particolare, la Corte di Strasburgo ha condannato la Svizzera per aver violato l’articolo 8 della Convenzione europea relativo alla salvaguardia dei diritti dell’uomo, ovvero il diritto al rispetto della vita privata e familiare, riconoscendo il Paese inadempiente per non aver preso sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

La nuova sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo rappresenta un importante tappa nel contrasto al cambiamento climatico e potrebbe avere un impatto significativo non solo in Europa, ma anche a livello globale, aprendo la strada a nuove azioni legali e ad un maggiore impegno da parte dei governi nella lotta alla crisi climatica.

Per la prima volta infatti, la CEDU riconosce un legame diretto tra la protezione dei diritti umani e l’adempimento degli obblighi in materia di cambiamento climatico. Questo significa che i governi ora dovranno tener conto del giudizio espresso dalla Corte, considerando anche gli aspetti climatici nel garantire i diritti fondamentali delle persone.

La pronuncia della CEDU sul caso delle “nonne per il clima”

La Corte, in primo luogo, sottolinea che può trattare le questioni legate al cambiamento climatico solo entro i limiti della sua competenza, consistenti nell’assicurare il rispetto degli impegni derivanti per le Parti contraenti della Convenzione e dei suoi protocolli. Tuttavia, tiene conto del fatto che l’insufficiente azione passata dello Stato in questione nel contrastare il cambiamento climatico ha avuto l’effetto di aggravare i rischi di conseguenze negative e minacce già riconosciute dai Paesi per il rispetto dei diritti umani.

La situazione attuale implica dunque azioni urgenti, confermate dalle conoscenze scientifiche, che la Corte, in quanto organo giudiziario incaricato di far rispettare i diritti umani, non può ignorare.

La Corte ritiene che ci siano prove sufficienti dell’esistenza del cambiamento climatico antropico, che rappresenta attualmente e per il futuro una grave minaccia per il rispetto dei diritti umani garantiti dalla Convenzione. Gli Stati sono consapevoli e capaci di adottare misure efficaci per affrontare la situazione, ma gli sforzi globali attuali in materia di mitigazione non sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.



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La violazione del diritto alla salute

Per quanto riguarda la legittimazione ad agire delle associazioni, la Corte ritiene che, data la natura del cambiamento climatico e la necessità di favorire la distribuzione intergenerazionale dell’impegno, sia opportuno consentire a un’associazione di adire le vie legali nel settore. La Corte conclude quindi che l’associazione richiedente soddisfa i criteri pertinenti e ha il diritto di agire nel nome dei suoi membri in questa materia.

Riguardo agli articoli 2 e 8 della Convenzione, la Corte afferma che l’articolo 8 comprende un diritto per gli individui alla protezione da parte delle autorità dello Stato contro gli effetti gravi del cambiamento climatico sulla loro vita, sulla salute, sul benessere e sulla qualità della vita.

La Corte rileva inoltre che gli Stati devono mettere in atto misure per ridurre le emissioni di gas serra al fine di raggiungere la neutralità netta.

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo conclude che la Svizzera ha violato l’articolo 8 della Convenzione per non aver adottato e attuato le misure necessarie per proteggere le persone dagli effetti dannosi del cambiamento climatico. Il Paese è stato dunque condannato al pagamento a favore dell’associazione ricorrente la somma di 80.000 euro per le commissioni e le spese. Non è stata presentata una domanda di risarcimento danni, pertanto la Corte non ha riconosciuto una somma a questo titolo.

Il commento dall’associazione

“È davvero una decisione storica – ha commentato ai microfoni di Greenpeace subito dopo la pronuncia di Strasburgo l’avvocato dell’associazione di donne -. La corte ha riconosciuto lo status di vittima all’associazione composta dalle 2.500 donne, e nel farlo ha anche definito un nuovo test legale per dare accesso alla giustizia”

In questo modo, prosegue l’avvocato, la sentenza si rivela importante non solo per le cause  climatiche, ma anche per altri casi che cercano giustizia per un gruppo collettivo di individui. “E la corte ha anche riconosciuto che c’è stata una violazione del diritto alla salute, stabilendo inoltre step concreti che i governi devono fare al fine di rispettare i loro obblighi in materia di diritti umani”.

“Non ci sono dunque più scuse per i governi per avere impegni vaghi: devono avere obiettivi concreti anche nel medio termine e devono anche dimostrare che stanno effettivamente facendo qualcosa per contrastare il cambiamento climatico – conclude l’avvocato – direi che in tutta la mia carriera di avvocato per il clima, questo è uno dei migliori giorni che abbia mai avuto”.

“Giustizia climatica sarà fatta”

“Alla Svizzera ora è richiesto di stabilire un budget per il clima con cui effettivamente raggiungere quanto stabilito dall’Accordo di Parigi”, ha aggiunto una portavoce dell’associazione.

“La politica climatica che il Paese ha attualmente non corrisponde a quanto abbiamo firmato – spiega ancora questa – In particolare, la Svizzera non sta contribuendo a sufficienza alla lotta al cambiamento climatico, e non importa, non sono più valide, le ragioni spesso portate avanti circa la sua grandezza e il suo conseguente ridotto impatto ambientale”.

Indipendentemente dalla quantità di emissioni, “è importante che tutti i Paesi facciano la loro parte, e a noi importa che la Svizzera faccia la propria, quindi da oggi deve importare anche a loro”.

“Giustizia climatica sarà fatta, si spera” con le misure che prenderà il Paese, concludono dall’associazione.

Gli altri due casi su cui si è espressa oggi la CEDU

Tuttavia, oggi la corte di Strasburgo si è pronunciata anche su altri due casi simili, questa volta però respingendo le istanze avanzate.

Il primo caso, denominato “Duarte Agostinho contro Portogallo e altri 31 Stati“, è stato portato avanti da sei giovani portoghesi che hanno denunciato ben 32 Stati europei per non aver protetto adeguatamente i loro diritti umani di fronte ai pericoli del cambiamento climatico.

Infine, il caso “Carême contro Francia“, promosso da Damien Carême, eurodeputato verde nonché ex sindaco del paese transalpino Grande-Synthe. Questo ha sollevato interrogativi sulle politiche climatiche francesi e sulla mancanza di azioni ambiziose per affrontare la crisi climatica sostenendo che la Francia non ha adottato misure sufficienti per prevenire il cambiamento climatico.

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